venerdì 14 ottobre 2016

L'IDEOLOGIA TRIPARTITA DEGLI INDOEUROPEI di Georges Dumezil: un classico di ieri per la comprensione dell'Europa di oggi.

     Quando nel 1958 Georges Dumezil pubblicò il suo volume L'ideologie tripartie des Indo-Européens (coll. Latomus - Bruxelles) ci si trovò di fronte al compimento di un lungo percorso e contemporaneamente al punto di avvio di tutte le successive disamine. A tutt'oggi L'ideologia tripartita degli Indoeuropei è un classico dell'antropologia e una pietra miliare negli studi di indoeuropeistica.
     In questa opera Dumezil teorizza (e dimostra)  l'esistenza presso le diverse popolazioni
indoeuropee di tre classi con diverse funzioni sociali e cosmiche:
i sacerdoti, che "studiano e insegnano la scienza sacra e celebrano i sacrifici";
i guerrieri, "che proteggono il popolo con la loro forza e con le loro armi";
gli agricoltori - allevatori cui sono affidati "l'allevamento e l'aratura, il commercio e, più in generale, la produzione di beni materiali.
     Si costituisce così una società completa e armonica, presieduta da un personaggio a parte, il re...generalmente nato e qualitativamente estratto dal secondo livello". 
Questo schema è rintracciabile presso le società indiane come presso gli Sciti, le società iraniche, i Celti e i Romani. 

   Con l'occasione mi fa piacere ricordare che un giovane studioso di Parma, Giacomo Scalfari, ha recentemente pubblicato per i tipi di Keltia un interessante saggio dal titolo Terra, guerra, magia che individua nella tradizione occidentale la presenza costante del trifunzionalismo descritto da Dumezil, in particolare presso le popolazioni celtiche e, da lì, nel Medioevo europeo. 
     Il libro si apre con alcune considerazioni sulla tradizione indoeuropea arcaica, ne individua l'eredità presso i Celti e si chiude con alcune riflessioni sugli echi indoeuropei nel ciclo bretone. 
     Ma a che cosa si deve la perdurante vitalità di un modello così antico? Innanzitutto al periodico riproporsi di particolari condizioni sociali che continuavano a renderlo attuale ed efficace. 
     Non bisogna poi dimenticare che religione, mitologia e soprattutto epopea e racconti leggendari, hanno conservato nei secoli l'originale nucleo arcaico trifunzionale. 
     Il volume di Scalfari non manca di rilevare anche una componente per così dire opportunistica, sfruttata nel Medioevo europeo dalle classi dominanti al fine di giustificare il mantenimento del proprio potere. 

     Queste considerazioni ci hanno portati a porci una domanda: in questo periodo di profondi e continui cambiamenti, l'antico modello che fin qui ci ha accompagnati ha ancora un qualche valore o un qualche tipo di funzionalità?
     Abbiamo trovato una risposta interessante in un articolo di Javier Esparza che, a dir la verità, data già a un paio di decenni fa:
     "Se vogliamo ripensare il mondo "in europeo," dobbiamo partire da ciò che costituisce l'eredità intellettuale specificamente europea: la comprensione tripartita della società. 
     Ritornare all'origine, interrogare i fondamenti della nostra cultura, la nostra più primitiva coscienza storica e spirituale, ecco che cos'è indispensabile se vogliamo trovare una soluzione europea per i secoli a venire. ben al di là delle semplici relazioni commerciali inter-europee (terza funzione) o dei problemi della difesa comune (seconda funzione), l'Europa deve far fronte all'imperiosa esigenza di ritrovare la sua piena sovranità (prima funzione). Questo progetto non può alimentarsi che a una sola fonte: la ri-dinamizzazione del nostro passato e della nostra storia. 
     Dobbiamo avere la memoria lunga: la storia appartiene a chi la merita" ("Punto y Coma", n. 5).


martedì 3 maggio 2016

"UN RE SENZA UNA SPADA, UNA TERRA SENZA UN RE"

   "Una spada forgiata da un dio, annunciata da un mago, trovata da un re". Così recitava la bellissima locandina del film Excalibur (id., 1981) diretto da John Boorman. 
   Ma Excalibur non è l'unica spada celebre della storia (e della leggenda); non l'unica conosciuta per nome. Possiamo ricordare Mimung, la lama forgiata dal magico fabbro Weland, e soprattutto, ricordate?, la Durlindana di Orlando nella Chanson de Roland.
 Dico "ricordate?" perché la mia generazione (classe 1968) è cresciuta sentendosi raccontare a scuola episodi epici e meravigliosi; questi erano i nostri eroi: Ettore e Achille (e la classe regolarmente si divideva in due fazioni), Leonida e i suoi Trecento alle Termopili, Annibale e gli elefanti attraverso le Alpi.... Fra questi certo anche Orlando che suona il corno a Roncisvalle e, per non lasciare la sua spada nelle mani dei Saraceni, prima prova a spezzarla poi, non riuscendoci, la nasconde, morente, sotto il suo corpo.

Ricordo ancora la pagina del mio libro di letture con il disegno dell'eroica resistenza della retroguardia di Carlo Magno contro gli invasori.
   Ora nei libri delle elementari non si parla più di Leonida, ad Annibale sono dedicate sette righe (vi rimando per questo ad un prossimo post); di Orlando neanche la più piccola traccia. E non c'è di che stupirsi visto che la battaglia di Roncisvalle, così com'è presentata nella Chanson, è assolutamente non politically correct: capirete, l'eroe è tale perché stermina il maggior numero possibile di Saraceni che stanno tentando di invadere l'Europa....

   Ecco perché alle parole di mio figlio "Mamma, che cos'è la Durlindana?" ho sentito come un tuffo al cuore, ho fissato il bambino  come se fosse un'apparizione mistica, mi sono inginocchiata davanti a lui, gli occhi negli occhi, e, afferrandolo per le spalle, gli ho sussurrato "Dimmi, gioia, quale delle tue maestre ti ha raccontato di Orlando, della battaglia di Roncisvalle e della Durlindana?". "Nessuna. - mi ha risposto lui - L'ho letto su Topolino". 
   E qui, una volta per tutte, ho capito. In questo mondo alla rovescia, in questo mondo privo di memoria, e quindi di futuro, ("Life is now", "Il fatto che ciò che oggi è nuovo domani è già passato?")¹, in questo mondo in cui si esaltano gli effetti di una crema antirughe con un provocatorio aforisma di Oscar Wilde ("La Bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l'una all'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l'eternità.”²); in questo mondo, dicevo, se si vogliono conoscere la storia e i miti fondanti alla base della civiltà e dell'identità europea, ci vuole Topolino.
   Ma non finisce qui: come mai al giorno d'oggi su Topolino compare una cosa del genere? La risposta è semplice: la battuta si trova nella storia dal titolo Topolino e la spada invincibile, pubblicato nella raccolta Disney. Le più belle storie fantasy edita da Giunti nel 2015  ma risale al numero 1728 del 1989. Di tutta la nuova raccolta, questa è la storia più datata.
   Il che equivale a dire che i nostri figli non hanno più neanche le competenze per leggere Topolino. Amen.



¹ Rispettivamente il testo dello spot pubblicitario della Vodafone e del Samsung Galaxy S7
² Provocatorio perché la celebre espressione κτῆμα ἐς αἰεί (ktema es aiei, possesso per sempre) fu coniata da Tucidide in riferimento alla sua opera di storico.



lunedì 21 marzo 2016

IN SCIENZA E COSCIENZA. Il problema della vaccinazione nell'opinione pubblica e medica del Settecento.

       Sto sfogliando i due bellissimi volumi della Sonzogno dedicati all'Esposizione Universale di Vienna del 1873 e mi trovo davanti una xilografia riproducente la più celebre delle opere del piemontese Giulio Monteverde (1837 - 1917): si tratta di una statua in gesso dal titolo Eduardo Jenner che inocula il vaccino al figlioletto e raffigura il medico inglese accanto al culla del bambino nell'atto di iniettare al piccolo il suo vaccino sperimentale (nell'anno 1796). L’opera vinse una medaglia d’oro all' Esposizione riscuotendo un grande successo di critica, e altrettanto ne ebbe una versione in marmo presentata successivamente all'Esposizione Universale di Parigi (una versione in bronzo è conservata nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma).
       Alla determinazione di Jenner si deve la scomparsa del vaiolo e la dimostrazione della validità della vaccinazione e, quindi, della prevenzione nella cura delle malattie epidemiche. Ne sono ben conscia; eppure quando mi arriva dall'AUSL l'invito ai richiami delle vaccinazioni dei miei figli, ogni volta scatta il panico, ogni volta si ripropongono gli stessi dubbi.
Toccata nel vivo dall'argomento cerco di tenermi informata ma è quasi impossibile valutare la validità delle fonti di informazione, soprattutto oggi che siamo bombardati da notizie e contronotizie di ogni tipo.
   
     Oggi mi è però capitata in mano un fonte assolutamente degna di attenzione. Si tratta di un piccolo volume datato 1763 dal titolo Seconda memoria sull'inoculazione del vajuolo contenente la sua storia dall'anno MDCCLIV. Letta nell'Adunanza pubblica dell'Accademia Reale delle Scienze di Parigi il 15. novembre 1758 dal Signor De La Condamine, socio della medesima Accademia, e delle Società Reali di Londra e di Berlino. E' la prima edizione italiana di questo scritto del conte Charles Marie De La Condamine, membro dell'Accademia delle Scienze di Francia, ufficiale, geografo, astronomo, matematico e fervido sostenitore della variolizzazione (cioè l'inoculazione controllata del vaiolo, pratica precedente la vaccinazione Jenner), lui che, da piccolo, contrasse il vaiolo sopravvivendogli.
Il frontispizio del volume di La Condamine
      La Condamine è uno scienziato e documenta le sue argomentazioni, ma dimostra finezza psicologica nel comprendere i dubbi dei genitori: "L'argomento più specioso contro l'inoculazione è questo. Un padre sta in dubbio se debba fare innestar suo figliuolo: se questa operazione non avesse mai avuto sinistro accidente, non esiterebbe punto; ma egli sa che qualche volta ne accade; ed ha paura che il suo figlio appunto non sia vittima innocente di un disgraziato capriccio: questo è quello che lo trattiene; non vuol arrischiare nulla affatto. Mi volgo ora io a questo padre, e gli dico. La vostra intenzione è lodevolissima, voi dite che non volete arriscar nulla; io medesimo ve lo consiglierei se la cosa fosse possibile; ma qui bisogna arriscare a dispetto vostro; per voi ci sono due soli partiti da pigliare, o innestare vostro figlio, o non innestarlo: ecco due rischi da passare, uno de'quali è inevitabile; tocca a voi scegliere... Un cieco istinto vi trattiene, ma l'evidenza vi grida agli orecchi, di due pericoli fra'quali e necessario lo scegliere, scegliete il minore".
      La Condamine prende posizione anche contro le polemiche fatte gratuitamente senza base e senza costrutto  criticando il fatto che, mentre  la questione dovrebbe essere dibattuta in ambiente medico, i continui interventi sui giornali e la pubblicazione di diverse opere sull'argomento  "forzarono il pubblico a volgere la sua attenzione a quest'oggetto. Noi godevamo allora di una intera pace; l'inoculazione addivenne l'argomento alla moda de'crocchi...e si assuefecer le orecchie ad una parola ch'era stata fin'allora nascosta nelle scuole di Medicina. Ma non è la conversazione che istruisce gli uomini nelle cose serie, che richieggono esame e e discussione....Osserverete che coloro che parlano decisivamente contro di questa pratica, altro non fanno che ripetere quello che hanno sentito dire...".      
      Il lavoro di la Condamine e degli altri sostenitori della pratica della variolizzazione convinse anche i regnanti: Don Filippo di Borbone, Duca di Parma, fece di suo figlio Ferdinando, allora tredicenne, la cavia dimostrativa per la prima inoculazione del vaiolo in Italia nel 1764. Decisivo fu nel 1767 l'intervento dell'imperatrice Maria Teresa che fece inoculare i suoi figli.
La famiglia di Don Filippo; a sinistra in basso il piccolo Ferdinando
(quadro di Baldrighi custodito in Parma, Galleria Nazionale)
   
      Per tornare a Parma, confermando l'osservazione di La Condamine sulla popolarità dell'argomento, ricordiamo che Bodoni pubblicò il poemetto in ottava rima di Gioacchino Ponta, dedicato ad uno dei pionieri della vaccinazione Jenner, il ligure Onofrio Scassi: "Tu primo, o Scassi, alle materne arene/ Dalla Senna recasti il dono e il lume / Del Vaccino tesor, cui l’alta speme / Della vita e del bello affidò il nume: / A te per l’are di Liguria Imene / Offra pingui olocausti oltra il costume, / E t’applaudan dai circhi e dalle culle / I nostri pargoletti e le fanciulle" (Il trionfo della vaccinia, 1810).
       Successivamente  a Don Filippo anche Maria Luigia e poi Luisa Maria si impegnarono a rendere obbligatorie le pratiche di vaccinazione.
       Quando io oggi avanzo i miei dubbi di mamma mi sento dire "Signora, in fine dei conti lei deve avere fiducia: siamo medici e siamo qui per questo" ma non posso fare a meno di dirmi che se a chiedermi fiducia (e a offrirmi la possibilità di darla esponendosi di persona) fossero un La Condamine, uno Jenner o una Maria Teresa, probabilmente non esiterei un momento; ma quando me la chiedono un Poggiolini, un De Lorenzo o un Renzi ("Sta sereno!")...


BIBLIOGRAFIA:

- L'Esposizione Universale di Vienna del 1873 illustrata; Milano, Sonzogno, 1873
- DE LA CONDAMINE Charles Marie: Seconda memoria sull'inoculazione del vajuolo contenente la sua storia dall'anno MDCCLIV; in Napoli, presso Benedetto Gessari, MDCCLXIII.


giovedì 10 marzo 2016

HAI VOLUTO LA BICICLETTA?....

    PREMESSA

   Un'amica assiste al palese furto di una bicicletta davanti al supermercato Conad di Via XXII Luglio; telefona alle autorità; segue il ladro nei suoi spostamenti per comunicarli in diretta alle forze dell'ordine che sono intervenute; il ladro, fermato dice che la bici è sua e nessuno può dimostrare il contrario, minaccia di provocare uno scandalo in quanto studente camerunense a Parma nell'ambito di scambi internazionali; il ladro se ne va con la bicicletta.

   ANTEFATTO

   Scriveva nel 1994 Baldassarre Molossi, autore della prefazione per il volume di Rosangela Rastelli Parma in controluce: "Un paio di anni fa quando la nostra città figurò al primo posto nella classifica della qualità della vita, Riccardo Pazzaglia scrisse sul "Mattino" di Napoli un articolo dal titolo "Andate a Parma". Perché? "Lo capii - diceva Pazzaglia - da una bicicletta. Ero fermo davanti a un negozio di frutta, di quelli molto eleganti, che espongono le pere con lo stesso sussiego e quasi gli stessi prezzi di un gioielliere. E vidi giungere una signora in bicicletta, che appoggiò il veicolo a un lampione poco lontano, entrò nel negozio, fece tutta la spesa, uscì di nuovo e "trovò la bicicletta". Senza mostrare la minima emozione per averla ritrovata, la signora inforcò il biciclo e se ne andò. Da allora per me - è sempre lui che scrive - una città è vivibile quando tutti possono scendere dalla bicicletta, appoggiarla in un posto qualsiasi, andarsi a fare un fatto proprio, tornare e trovarla dove l'hanno lasciata. A Napoli - concludeva Pazzaglia - non si può appoggiare in un posto qualsiasi nemmeno la nonna senza assicurarne una caviglia al palo con una robusta catena...".

     Se dobbiamo dar retta a Pazzaglia e a Molossi, Parma non è decisamente più una città vivibile. Ma di questo i parmigiani si erano già accorti; tutti, tranne quelli che avrebbero dovuto accorgersene subito e intervenire di conseguenza. Ma qui non voglio fare tanto una polemica sulla sicurezza quanto sulla civiltà: ciò che ferisce il cuore è l'assuefazione che la gente mostra davanti alla violenza e al degrado; la continua riproposizione della bruttura anestetizza e contemporaneamente crea una sensazione di impotenza, orribile combinazione che sfocia inevitabilmente nel menefreghismo. 
    Ed ecco che, in modo insospettato, la bicicletta diventa il fil rouge di questo percorso di abbrutimento progressivo perché è evidentemente un oggetto sentito dai parmigiani come importante nella vita quotidiana e per ciò stesso rappresentativo.
   
        Nel suo bello e dolente volume Parma una città senza amore del 1981 Pier Maria Paoletti fotografava il degrado della città; nella pagina dedicata alle biciclette lamentava: "L'eleganza della "città ducale" recita un nostro tenace luogo comune. Ecco come si presentano al turista le nostre strade e i nostri portici con centinaia di biciclette caoticamente buttate contro i muri, le colonne, le vetrine, un leit-motiv che ci accompagna dovunque a richiamare, più che l'immagine della "piccola capitale", quella di un paesone della bassa. Benissimo le biciclette, per carità: ma è possibile che non si riesca a disciplinare il posteggio con un numero sufficiente di rastrelliere...e un'assidua opera di persuasione all'ordine da parte dei vigili?


Piazza Garibaldi nel volume di Paoletti
      Erano altri tempi: Per Paoletti nel 1981 (e non del tutto a torto, ricordate?) è disordine la bicicletta appoggiata ad un lampione che Pazzaglia nel 1994 saluta come un miracolo. 
   Che penserebbero entrambi oggi dei continui furti di biciclette, piaga quotidiana della nostra città, da cui non ci si può riparare neanche nel cortile di casa propria? E tutta via ormai accettata come normale, come la neve d'inverno e il sole d'estate...
   ED ECCOCI QUI...   


Borgo Regale
   E' vero: la foto di Paoletti fa pensare, ma decisamente più scorante quella scattata da me in Borgo Regale un mese fa. Quante ne abbiamo viste così? E' una delle tante biciclette "cannibalizzate" che si vedono per le vie, a volte ancora parzialmente incatenate agli stalli (parzialmente nel senso che ce ne rimane solo una parte). Sono il nuovo arredo urbano insieme ai rifiuti, ai venditori di occhiali da sole i cui espositori tappezzano le pareti del Battistero, alla gente più o meno ubriaca stravaccata sui marciapiedi delle strade dell'Oltretorrente. E chi più ne ha...

Borgo Tommasini
    EPILOGO

    E tuttavia ero arrivata a pensare un lieto fine per questa storia; non ho fatto in tempo a scriverlo. Poche sere fa ho scattato un'altra fotografia in Borgo Tommasini mentre ero per strada con i miei figli. Nell'apposito parcheggio per mezzi a due ruote stava una sorta di scooter a pedali per bambini, in ordine nella giusta posizione, insieme a quelli dei grandi. "Vedete? - ho detto entusiasta ai bambini - E'così che si fa: fin da piccoli si impara a comportarsi bene e a seguire le regole in modo che la città sia più in ordine e sicura per tutti". Quasi mi commuovevo il giorno seguente vedendo da lontano la chiazza colorata della piccolo mezzo ancora al suo posto, evidentemente non trafugato durante le ore precedenti né durante la notte.
     Dicevo fra me: dà una sensazione così particolare (un misto di straniamento e tenerezza insieme) che neanche teppisti e ladruncoli hanno avuto il coraggio di andargli accanto. Mentre lo facevo notare ai miei figli siamo stati superati da un automezzo per la raccolta dei rifiuti che si è fermato accanto alle righe del parcheggio; l'addetto che ne è sceso ha preso la lo scooterino, l'ha buttato nel cassone ed è ripartito. La scena, seppur vista in lontananza, ci ha lasciati ammutoliti. 
   Ho la sensazione che questo episodio racchiuda una morale, ma la sento troppo triste per affrontarla; il tutto mi appare fin troppo smaccatamente simbolico: la bicicletta colorata del bambino innocente, diligentemente parcheggiata al suo posto, viene buttata via mentre i resti delle azioni criminose degli adulti giacciono abbandonati lungo le strade, sorta di squallido memento. O forse il dispiacere per aver perso la Parma che amavamo, quella città vivibile che gli altri ci invidiavano, mi fa vedere quello che non c'è?



BIBLIOGRAFIA:

RASTELLI, Rosangela: Parma in controluce. Parma, Battei, 1994.
PAOLETTI, Pier Maria: Parma una città senza amore. Parma, Italia Nostra - Sezione di Parma, 1981.

Per ulteriori indicazioni bibliografiche relative a Parma, società e costume andate alla pagina:

Per informazione vi segnalo che la Questura di Parma custodisce un gran numero di biciclette rubate per le quali ha creato schede fotografiche che vengono anche periodicamente diffuse: le vittime di furto possono tentare la ricerca anche per questa via.