domenica 5 febbraio 2017

L'ATTENTATO AL LOUVRE E LA GUERRA CONTRO L'ARTE



   Nel 1944, a guerra ancora in corso, venne pubblicato a Milano dalla casa editrice Domus un interessante volume dal titolo La guerra contro l'arte, di autore anonimo. In questo volume si deprecava l'incurante devastazione portata al nostro patrimonio artistico e culturale dagli Alleati, da chi, cioè, "ha voluto colpirci nel più intimo dei nostri beni, cioè nel retaggio più prezioso del nostro grande passato e della stessa nostra coscienza nazionale".

   Un approccio simile era già stato utilizzato nel celebre volume del Ministero della Cultura Popolare  Che cosa hanno fatto gli Inglesi in Cirenaica (1941) dove compaiono le fotografie dei musei di arte classica devastati da atti di puro vandalismo. 
   La legislazione che tutela i beni artistici in caso di conflitto è a tutt'oggi risultata ben poco efficace: le Regole dell'Aja del 1899 e i successivi interventi, alla fine lasciavano comunque al responsabile dell'eventuale attacco il compito di autoregolarsi nel tutelare, oltre che il proprio patrimonio, anche quello del nemico. 
  
   E tuttavia il problema era sentito ben prima del 1899. 
   Nel suo Storia di Roma (1,29) lo storico romano Livio ricorda la distruzione della città di Alba Longa da parte dei Romani. Livio, che pure vede nelle vicende della Roma arcaica una storia esemplare, non può però astenersi da un lapidario commento:
   "Usciti gli Albani dalla città, l'esercito romano rade al suolo ovunque tutte le case pubbliche e private, in una sola ora diede alla distruzione e alla rovina l'opera di quattrocento anni". 
    Con lo stesso spirito Tacito conclude il racconto del devastante incendio di Roma del 64 d.C.: 
   "Calcolare il numero delle case, degli isolati e dei templi andati distrutti non è facile: fra i templi di più antico culto bruciarono [...] il delubro di Vesta coi penati del popolo romano; e poi le ricchezze accumulate con tante vittorie, e capolavori dell'arte greca e i testi antichi e originali dei grandi nomi della letteratura, sicché, anche nella straordinaria bellezza della città che risorgeva, i vecchi ricordavano molti capolavori ora non più sostituibili. " (Annali XV, 41). 
   Quindi, l'arte e la storia, anche quelle altrui, viste come tesori insostituibili.


Belisario in un mosaico ravennate
    Ma se l'incendio di Roma fu un'immane disgrazia, Procopio nella Guerra Gotica (III, 22) stigmatizza la distruzione volontaria del patrimonio dell'umanità citando la lettera che nel 544 il generale Belisario inviò al re dei Goti Totila che ormai aveva in mano Roma: 
   "Creare bellezze inesistenti in una città potrebbe essere opera d'uomini geniali ed esperti del viver civile; così, cancellare quelle esistenti è proprio degli stolti, che non si vergognano di lasciare ai tempi  a venire un tale segno della loro natura. Roma è, per riconoscimento comune, la più grande e la più cospicua di tutte quante le città che si trovano sotto il sole. 
   Non è stata fatta dal genio di un uomo solo né è giunta a tanta grandezza e bellezza in forza d'un tempo esiguo: una quantità di imperatori, schiere e schiere d'uomini di valore, lunghezza di tempi e strabocchevole copia di ricchezze sono riuscite a concentrare qui, oltre a tutto il resto, anche grandi artisti da tutto il mondo. 
    Così, a poco a poco, costruirono la città quale tu la vedi lasciando agli avvenire tali memorie della genialità di tutti, che un oltraggio recato ad esse sarebbe giustamente da considerare un delitto contro l'umanità d'ogni tempo perché toglierebbe agli uomini del passato la memoria del loro ingegno e a quelli del futuro la vista di tali opere. 
   Stando così le cose, renditi bene conto di questo: delle due l'una: o tu sarai sconfitto dall'imperatore in questa guerra, o vincerai, se così vuole la sorte. 
   Ora, supponiamo che tu vinca: se avrai raso al suolo Roma, non avrai distrutto la città di un altro, bensì la tua, valentuomo; se la conservi t'arricchirai, è naturale, del più splendido dei possessi. Supponiamo ora che ti tocchi la sorte peggiore: se avrai salvato Roma, il vincitore te ne sarà molto grato; se l'avrai distrutta, non ci sarà luogo, per te, ad alcuna umanità, e per giunta non avrai certo alcun vantaggio da tale azione. 
    Ti circonderà una fama adeguata al tuo agire, da parte di tutti gli uomini: essa è lì pronta per te, quale che sia la decisione che tu prenda...". 

   Totila, il barbaro di ieri, salvò Roma. Oggi invece il problema della guerra contro l'arte ci si ripresenta drammaticamente mentre i mezzi di informazione ci bombardano con le immagini della devastazione di Palmira da parte dell'Isis.
   "I gruppi armati tendono, infatti, a costruire e preservare la propria identità etnica, religiosa e ideologica. Si assicurano pertanto di attaccare monumenti e luoghi di venerazione che meglio definiscono l’identità delle loro “vittime” .... Nell’atto vandalico contro le opere artistiche è percepibile l’atto intenzionale di annullare riferimenti culturali e storici di altre comunità .... L’obiettivo della distruzione è la persistenza della cultura collettiva sociale o comunitaria e la demolizione di sistemi di pensiero alternativi a quello che aspira a diventare l’unico dominante ... La guerra psico-sociale che i “vandali d’arte” intraprendono attraverso la distruzione di questi punti di riferimento esistenziali pone in evidenza la non-passività di tali oggetti inanimati all’interno di un codice sociale e culturale. Tali oggetti agiscono negli immaginari umani, cambiano gli eventi, interagiscono con i propri fautori in modo mutevole attraverso un percorso storico. Il valore intrinseco che gli oggetti prodotti dall’umanità possiedono è espresso dalla moralità che le diverse comunità attribuiscono loro. Difatti, gli artefatti esprimono la Weltanschaung dei loro promotori, decodificabile da essi stessi e da chi vuole intendere la loro interpretazione e abbracciare la medesima moralità, anche per un attimo soltanto." (Estella Carpi)
    E' esattamente questo che rappresenta l'indimenticabile personaggio del macchinista francese Papa Boule, ubriacone e ignorante, pronto però a sacrificare la sua vita per salvare le opere d'arte,"le glorie della Francia", trafugate da Parigi ad opera dei nazisti nel bellissimo film Il treno (The train, 1964) di John Frankenheimer, dal romanzo di Rose Valland Le front de l'art



Il treno: il colonnello Von Waldheim (Paul Scofield)
 ammira i "suoi"quadri nel museo che sta depredando.
   Noi (cioè noi moderni, noi Italiani) cresciuti all'ombra dei resti della stessa città vissuta da Tacito, all'ombra delle cattedrali romaniche, della Cappella Sistina, delle cupole del Correggio, delle statue di Canova noi, dunque, cresciuti nel bello e nella storia ed educati dalla nostra scuola al bello e alla storia, abbiamo ancora la forza, come Tacito o Procopio, di scandalizzarci per l'uccisione di un vecchio professore che alla custodia del bello e della storia aveva dedicato la vita; abbiamo la capacità di considerare una perdita insostituibile per tutta l'umanità la distruzione di Palmira, dei mausolei degli sceicchi, delle statue dei Budda.
   Ma intanto la nostra scuola, la "buona scuola", vanifica completamente l'insegnamento della storia e falcidia quello dell'arte (sono gli anni, guarda caso, in cui cominciano a crollare Pompei, la Domus Aurea, il Colosseo). 
    I nostri figli saranno ancora capaci di scandalizzarsi? Non so se la bellezza salverà il mondo; non posso immaginare tutto quello che passa nelle menti intossicate e sconvolte dei criminali dell'ISIS, ma di una cosa credo di poter essere certa; non sanno che cosa sono né il bello né la storia. Proprio come i nostri figli fra poco.
    
    Non è dunque un caso che l'ultimo attacco dell'estremismo musulmano sia avvenuto al Louvre.
    
   
"Prima" e "dopo" il trattamento ai Musei Capitolini
Ed ecco che il giorno dopo l'indecente episodio della visita del presidente iraniano ai Musei Capitolini, il 26 gennaio 2016, l'ex direttore della "Gazzetta di Parma", Filiberto Molossi, commentava il fatto della copertura delle statue come frutto del male del secolo, il "politicamente corretto". E tuttavia ironizzava citando le guerre persiane: "E si sa almeno dai tempi di re Serse che gli iraniani non vanno presi sottogamba". 

    Mi permisi allora di scrivere una lettera al direttore che, salvo errore, a quel che mi risulta non fu mai pubblicata, in cui commentavo:
"Opportunamente Lei cita Serse come esempio dei rapporti non cordiali intercorsi fin dall'antichità fra Oriente e Occidente. E' Erodoto che per primo tratta il problema considerando le Guerre Persiane come guerre senza precedenti, segno dell'inconciliabilità tra i due mondi.  Nell'articolo Lei omette però di ricordare che sia Serse sia il padre Dario furono fermati nei loro progetti di conquista, sconfitti sul campo dai Greci, armi in pugno, rispettivamente alle Termopili e a Salamina nel 480 a. C. e a Maratona nel 490 a. C. Episodi, questi, rimasti tra i miti fondanti del comune immaginario dell'Occidente, archetipi della vittoria della libertà e della democrazia sul dispotismo e la schiavitù.     
   Da qui l'orgoglio di Pericle, che rivendica il ruolo di Atene, nel bellissimo discorso che Tucidide ne La Guerra del Peloponneso gli fa pronunciare in memoria dei caduti del primo anno di scontri (431 a.C.).
   L'encomio, al di là del pur presente intento propagandistico, riassume molti fra i principi cardine della democrazia occidentale moderna.
   Davanti all'ignobile atto di abiura (e non uso questa parola in senso figurato) compiuto dai nostri politici nei confronti di quei principii e della nostra cultura, vorrei ricordare l'indimenticabile passo di questo discorso che suona così: 
   Φιλοκαλοῦυμεν.... και φιλοσοφοῦμεν... , e cioè, Amiamo il bello.... e il sapere... che, come i nostri duemila e cinquecento anni di storia ci insegnano, non devono andare disgiunti".


Atene



RIFERIMENTI:

Che cosa hanno fatto gli Inglesi in Cirenaica, Roma , Ministero della Cultura Popolare, 1941
Guerra contro l'arte (La), Milano : Domus, 1944
Procopio di Cesarea: Guerra Gotica, III - 22
Tito Livio:  Storia di Roma (Ab Urbe condita libri), I - 29
Tacito, Lucio Cornelio: Annali (Annales), XV - 41
Tucidide: La Guerra del Peloponneso, II 36 - 41

e inoltre:

www.reset.it/reset-doc/iconoclasti-di-oggi-da-saddam-a-isis
www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=210


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