Francia, Belgio, Inghilterra e anche
Italia: il cuore di quell'Europa che fino a ieri un po' queste
situazioni le compativa, con quel sorrisetto di superiore distacco
con cui spesso guardiamo gli americani.
Bene, abbiamo sbagliato: abbiamo
sottovalutato non l'importanza dei fatti scatenanti in sé, che ne
possiedono ben poca; abbiamo sottovalutato invece l'effetto che
decenni di costante lavorio hanno avuto sulle menti degli europei, i
quali, contro ogni ragionevole aspettativa, cominciano a mostrarsi
permeabili a una propaganda demente e ottusa come quella che ci
arriva oggi dagli USA.
Ora una presa di posizione è
necessaria da parte di tutte le persone di buon senso, da parte di
coloro che considerano la cultura come un valore fondante della
società civile, la storia come un monumento (nel senso etimologico
del termine di "elemento che fa ricordare"), l'arte come un tesoro
prezioso, la propria lingua come inimitabile eredità da valorizzare
sfruttandola e tramandandola in tutta la sua ricchezza; coloro, cioè, per i quali libertà di espressione e di pensiero sono beni irrinunciabili. Lavorando con i libri, e quindi con le parole e cioè con le idee, avverto più che mai quest'urgenza.
Nell'arte e nel cinema, nella musica,
nella letteratura e infine nel più banale quotidiano domina il
conformismo dei linguaggi e la conseguente omologazione delle idee.
L'espressione prima e il mezzo di trasmissione più immediato di questo
devastante malcostume è la lingua cosiddetta "politicamente corretta" che nell'ossessione di "ripulire" la comunicazione da ogni
caratterizzazione sessuale, religiosa, razziale ecc. sta portando
alla cancellazione di identità individuali e nazionali, allo
stravolgimento di principi e valori consolidati della nostra
civiltà.
Questo nuovo strumento di repressione
si è progressivamente impadronito prima dei mezzi di comunicazione, poi
della politica e della scuola; infine anche del vivere quotidiano,
dei biscotti e delle creme cosmetiche.
Il meccanismo attraverso il quale
agisce è molto semplice e lo ha ben evidenziato Alain De Benoist:
"Poiché [l'ideologia dominante] non ha più i mezzi per
confutare questi pensieri che danno noia, si cerca di delegittimarli
non come falsi ma come cattivi" (1).
In questa prassi, la prima cosa da fare
per modificare un comportamento "cattivo" è quindi
modificare il termine che lo identifica.
Mi perdonerete l'esempio un po' scontato, ma sempre efficace: il concetto espresso dal pensatore francese è perfettamente rappresentato nel newspeak la "neolingua" parlata in 1984 di George
Orwell. Il fine del newspeak è contemporaneamente cancellare i vecchi schemi
mentali e rendere impossibile ogni diversa forma di pensiero, distorcendo, svuotando di significato e riducendo progressivamente di numero i vocaboli disponibili.
Ma, quasi incredibile, per certi versi siamo forse già un passo oltre Orwell: la realtà quotidiana, infatti, sta dimostrando che non occorre la
dittatura politica per imporre la neolingua: è sufficiente la nostra
democrazia. Dallo "sbuono" (ungood) orwelliano al
"diversamente abile" per arrivare alla "nuova
normalità" e al "distanziamento sociale" di Conte il passo è breve.
Ora, dunque, se si accetta che "i
limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo" (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1918) ne consegue che quando il
linguaggio è corrotto anche il pensiero è contaminato. Ingaggiamo dunque battaglia sullo stesso terreno e cominciamo ad eliminare dal nostro uso quotidiano il politicamente corretto, vero grimaldello con cui vengono scardinati i principi sui quali si costruisce criticamente il pensiero e lo scambio nella comunicazione.
Esso
infatti "è qualcosa di rigido, dottrinario, censorio, letale
per la mente, per la fantasia per la lingua e per la capacità di
visione. E' contrario alla sottigliezza, alla complessità, alle
sfumature, alla sovversione, persino all'indagine" (2)
Pietra miliare sulla questione è lo
straordinario libro di Robert Hughes La cultura del piagnisteo
(3) pubblicato in Italia nel 1993. Non per nulla, l'autore parte da questo argomento per arrivare ad
alcune considerazioni sul declino dell'impero americano (ancora
esilarante e giustamente spesso ricordata la sua definizione del
capitano Achab, "il portatore di un atteggiamento scorretto nei
confronti delle balene").
A vent'anni di distanza, in un agile
e intelligente pamphlet dal titolo Come sopravvivere al politicamente corretto. Prontuario (semiserio) delle follie iper-correttiste, Luigi Mascheroni ci mette in guardia contro
i pericoli di questa non-comunicazione e stila finalmente un
Manifesto del Politicamente Scorretto. (4)
"Occorrerebbe, per svegliare con
un elettroschock anticonformista le coscienze intorpidite dalla nuova
religione dell'ipermoralismo e del buonismo ecumenico, un Manifesto
del Politicamente Scorretto che sappia guardare in faccia la realtà,
accettare i conflitti e riscoprire il valore della diversità e
provare così a uscire dalla paralizzante palude dell'uniformità
perbenista. Come questo, ad esempio:
- Fare attenzione quando si parla con un singolo individuo o con un gruppo di persone a usare un linguaggio che marchi con precisione l'appartenenza geografica, etnica, sessuale, religiosa del nostro interlocutore o dell'oggetto del discorso: niente più dell'identità di sangue, di tradizione, di credo, di cultura o di orientamento sessuale costituisce l'essenza dell'individuo, conferendogli una sua propria personalità, non quella che noi ci arroghiamo il diritto di attribuirgli. Annullare le differenze e negare le scelte di una persona significa escluderla, sminuirla, svalutarla.
- Distinguere accuratamente i diversi gruppi demografici rispettando tutte le differenze di razza, di genere e di religione, evitando – per esempio – di usare un generico e offensivo "tutte le persone" quando ci si riferisce esattamente agli italiani o ai cinesi, ai buddisti o ai transessuali oppure etichettare sotto l'anonima espressione "esseri umani" sia gli uomini, quando parliamo di maschi, sia le donne, quando parliamo di femmine. Una descrizione accurata è l'essenza del concettualmente preciso, la generalizzazione lo è del politicamente corretto.
- Evitare tutte le volte che è possibile, nei titoli e nelle cariche, la versione neutra, come "presidente" o "sindaco", ricordando che in italiano sarà magari politicamente scorretto ma grammaticalmente è esatto usare il maschile anche quando ci si riferisce a posizioni ricopribili tanto da uomini che da donne: in questo senso si raccomanda un'attenzione particolare nel rivolgersi per esempio al Presidente della Camera in carica, Laura Boldrini, con un deciso "il" Signor Presidente invece di un formalistico e puntiglioso "la" Presidente o un generico e anodino "Presidente". Negli altri casi la declinazione femminile va usata tutte le volte che è applicabile: per esempio meglio usare il termine "poliziotta" invece che un neutro "agente di polizia" o "bidella" invece che un equivoco, peraltro negativo, e quindi offensivo, "non docente". L'importante comunque è evitare lo sgradevole suono nella lingua parlata e scritta di termini come "sindaca", "prefetta", "questrice", "avvocata", "architetta", "la vigile", "la rettrice" ...
- Evitare espressioni generiche e denigratorie come "persona con disabilità" oppure "persona con la sindrome di Down", preferendo termini scientificamente più precisi rispetto alle deficienze mentali o fisiche della persona a cui ci si rivolge, come "paraplegico", "maniaco-depressivo", "autistico", "schizofrenico", "apatico", "tossicomane", "etilista", "psicotico"...
- Preferire termini che specificano un determinato gruppo etnico o razziale rispetto a espressioni imprecise e vaghe come "migrante" o "extracomunitario". Definire coloro che sbarcano in Italia provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo con un generico e omologante "straniero" può risultare profondamente irrispettoso per chi rivendica il proprio essere "egiziano" o "libico" o "marocchino". Al più, se non si è certi della nazionalità della persona, meglio un più qualificato "africano".
- Incoraggiare l'uso di termini religiosi peculiari e distintivi soprattutto quando si parla di un gruppo che potrebbe comprendere persone di fedi differenti, anche per incoraggiare il dialogo interreligioso. Dire "Dio vi benedica ..." a un evento pubblico in cui sono presenti anche musulmani può essere un utile confronto teologico sui destini ultimi dell'uomo anche per chi crede in Allah, così come affermare che "gli ebrei sono riconoscibili dalla kippah" può aprire a inedite posizioni di reciproco rispetto da parte di chi, come i palestinesi, rivendica il valore identitario di un capo di abbigliamento speculare, come la kefiah. Per gli atei il problema non si pone perché concedono a qualsiasi credo religioso il medesimo divertito compatimento, atteggiamento che peraltro, per identico riguardo, si consiglia di usare nei loro confronti.
- Non preoccuparsi eccessivamente delle inferenze che le persone possono leggere nelle nostre parole, così da evitare di dare la spiacevole impressione di preoccuparsi di loro eventuali tendenze o particolari inclinazioni. Per esempio, se stiamo chiedendo a una ragazza se è sentimentalmente impegnata, usare l'espressione "Ti vedi con qualcuno?" invece di un più comune "Hai un ragazzo?", smaschererebbe il nostro dubbio sul fatto che la persona cui ci rivolgiamo abbia un'inclinazione eterosessuale, peraltro statisticamente più probabile: il fastidioso retropensiero della ragazza infatti sarà: "Pensi forse che io sia lesbica?". Il che sarebbe molto imbarazzante.
- Ricordarsi che tra un termine politicamente corretto e uno ritenuto discriminatorio, è molto probabile che il meno offensivo, perché più vero, sia il secondo.
- Considerare l'ipotesi che oggi il politicamente corretto non indichi la legittima e condivisibile volontà di non ferire le altre persone, ma smascheri piuttosto la paura che qualcuno ci possa accusare di dire qualcosa di scorretto. Tra l'ipocrisia e la sensibilità, vince sempre la prima.
- Ricordarsi che la preoccupazione di ripulire il proprio linguaggio è soltanto la fase che precede l'afasia."
La frase di Orwell è il fulminante riassunto di ciò che aveva superbamente espresso Gilbert Keith Chesterton quarant'anni prima a conclusione del volume Eretici (1905) nel denunciare i
paradossi del relativismo culturale e la difficoltà a far conoscere
la verità nelle società moderne:
"La grande marcia della distruzione
intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un
credo. [ ...] Fuochi
verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.
Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in
estate". (5)
E' ora dunque di tornare a impadronirci del nostro linguaggio e del nostro pensiero contro i solerti censori al servizio della non-lingua e dell'omologazione; e mettiamo pure in conto che non sarà facile né incruento ma, come diceva il nostro Giovannino Guareschi che non ebbe paura a usare le parole giuste:
"Ho imparato, in quella dura scuola, quanto sia bello, come sia virile, come sia civile dire pubblicamente ciò che si pensa, specialmente quando ciò comporti un grave rischio". (6)
(1) Alain DE BENOIST in "Diorama letterario", 327, settenmbre -ottobre 2015.
(2) Philip GOUREVITCH, Maledetto politically correct, in "Il Sole 24 Ore", 21 giugno 2012.
(3) Luigi MASCHERONI
Come sopravvivere al politicamente
corretto. Prontuario (semiserio) delle follie iper-correttiste.
Milano, Il Giornale, 2016.
(4) Robert Hughes La cultura del
piagnisteo, Milano, Adelphi, 1993.
(5) Questo il passaggio completo:

La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto".
(6) Giovannino GUARESCHI: Chi sogna nuovi gerani?Autobiografia,
a cura di Carlotta e Alberto Guareschi; Milano, Rizzoli, 1993.
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