domenica 26 settembre 2021

LIBRI E LIBERTÀ

     



A due anni e mezzo da quando la casa editrice Altaforte fu esclusa dalla manifestazione, il Salone Internazionale del Libro di Torino torna a far parlare di sé per lo stesso motivo, ma a parti invertite.

    Quest'anno il Gruppo Macro-Editore e Uno Editori, pur avendo già in programma la partecipazione all'evento previsto per il prossimo ottobre, si ritirano dal Salone: affermano che la richiesta del lasciapassare, la carta verde, per potervi accedere è "discriminante e anticostituzionale. Non rispecchia il nostro modo di vivere e pensare" (parole di Francesco Angelo Rosso, figlio del fondatore del gruppo Macro e membro del CdA).

    In entrambi i casi è interessante notare che al centro della questione, ufficialmente, non sono i libri in sé stessi, ma una presa di posizione politica, intendendo la parola in senso lato. 

    Nel 2019 Altaforte fu allontanata  poiché il Salone voleva “tutelare la sua immagine, la sua impronta democratica e il sereno svolgimento della manifestazione ...tra le ragioni di una testimone attiva dell’Olocausto e quelle di Altaforte è necessario far prevalere le prime ... una scelta politica di cui ci assumiamo tutta la responsabilità”. 
    Motivazione che stupisce a fronte del fatto che per più di dieci anni la casa editrice AR di Franco Freda ha esposto alla manifestazione;  sappiamo bene, invece, che l'editore fu colpevole di avere pubblicato il volume dell'allora Ministro degli Interni dal titolo ""Io sono Matteo Salvini - Intervista allo specchio".

    Quest'anno, i due gruppi editoriali che si ritirano lo fanno per incompatibilità con un provvedimento che, non avendo evidentemente nessun intento sanitario, è di natura anch'essa squisitamente politica.

    Eppure in entrambi i casi lo scontro avviene sul terreno del libro; libro che, di questo conflitto, è al contempo vittima, mezzo e causa scatenante, seppur secondaria.
    Questo fatto ci rattrista e ci consola al tempo stesso: da una parte, infatti, mostra che ancora una volta sono i volumi a stampa a scontare il fio dell'obnubilamento delle menti nei periodi bui; dall'altra, però, ci conferma nella certezza che, a partire dalla distruzione delle profezie di Geremia e dei papiri di Numa (181 a.C.) per arrivare al rogo dell'edizione originale di Pippi Calzelunghe avvenuta in Svezia poco tempo fa, il libro ha mantenuto alto nel tempo il suo prestigio come strumento di veicolazione della conoscenza, puntello delle menti e nutrimento per il senso critico e la libertà di pensiero.  Anche in questi anni nei quali sembrano prevalere ben altre forme di comunicazione.

    Probabilmente il succo della questione sta proprio nel fatto che il libro non è solo strumento pratico di comunicazione, ma è anche oggetto dal forte potere simbolico evocante il potere, la ricchezza, lo stato sociale e, ovviamente, il Sapere. Anche in sua assenza, quindi, (quando è respinto, quando è ritirato), il libro rimane un catalizzatore di idee e di confronto.
    In un’epoca dunque in cui la conoscenza e, più semplicemente, la cultura vanno oscurandosi insieme alla curiosità e alla capacità critica, ecco il paradosso: finché si bruceranno i libri, per il libro ci sarà speranza.

Dichiara Peabhat Eusebio, fondatore del gruppo editoriale Uno: “Rinuncio all’acconto dato per l’acquisto dello spazio e agli incassi dei 5 giorni di fiera, e a dare lavoro a tutte le persone coinvolte in questi anni per la gestione dello stand… perché? Per rispettare uno dei valori più elevati e sacri dell’universo, la libertà…” senza la quale, sappiamo, neanche fare cultura è possibile".









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